LA BOTANICA DELLA PREFABBRICAZIONE

Opere dalla muta e arborea solidità

A volte parlando di prefabbricazione si pensa ad una standardizzazione qualitativa automatica: quando viene raggiunto il livello di qualità desiderato, i processi produttivi si mantengono monolitici e invariati.

Niente di più falso.

 

Il vero controllo di produzione di fabbrica (FPC) è un’incessante opera di limatura e perfezionamento di tali processi.

La natura della prefabbricazione non è molto diversa da 20 o 30 anni fa, ma per poter offrire un prodotto di qualità immutata sono stati necessari innumerevoli mutamenti sia progettuali che produttivi; basti pensare all’introduzione del calcestruzzo auto compattante o al progredire delle tecnologie di lavorazione per farsi un’idea di come il lavoro in fabbrica si sia dovuto adattare e riorganizzare. L’attività manifatturiera del prefabbricato condivide l’esigenza di miglioramento continuo di ogni altro settore.

Entrando in un vivaio, ad esempio, ci aspetteremmo di trovare la più vasta varietà botanica possibile, a volte anche in stagioni non idonee ad alcune specie. Per mantenere l’offerta all’altezza della domanda il vivaista dovrà però fare i conti con le variabili sottese all’incognita della conformazione del terriccio, alla qualità delle semenze, all’inclemenza della stagione fredda, all’alternanza ed alla competenza di manodopera qualificata, alle specifiche richieste del cliente e ai cambiamenti di rotta dei gusti di mercato.

 

Un pilastro prefabbricato è un’opera dalla muta e arborea solidità. È una sequoia la cui crescita e ramificazione, in termini di appoggi, mensole e collegamenti sismici, sono il risultato una complessa ricerca del delicato equilibrio tra efficacia ed efficienza che nel campo manifatturiero si declinano in ingegno progettuale ed esperienza produttiva.

 

Il calcestruzzo è un elemento tanto affidabile e stoico nella sua forma finale quanto volubile e instabile in fase di lavorazione. Il suo comportamento varia con il cambio di stagione: soffre il freddo intenso e può diventare imprevedibile con subitanee variazioni di pressione e di umidità nell’aria. Il caldo eccessivo ne compromette la lavorazione. Quantità di acqua o di additivo non proporzionate lo ingialliranno o provocheranno un rigetto da segregazione durante la costipazione.

Se un elemento precompresso da solaio viene “tagliato” (o rilassato) troppo presto, accentuerà l’inarcamento come un legno non ancora secco.

Durante l’inverno, le lastre prefabbricate più sottili hanno bisogno di essere tenute al caldo con coperte riscaldate, per poter essere disarmate il giorno seguente. Senza queste piccole serre temporanee non raggiungeranno la maturazione; nel gergo si diranno ancora troppo “verdi”.

 

Anche la finitura dei pannelli prefabbricati è sempre una scommessa: fino al momento del disarmo non vi è l’assoluta certezza del risultato ed è compito specifico del prefabbricatore prevedere l’imprevedibile e far sì che l’esito sia il più controllabile possibile. Le finiture di tamponamento oggi ottenibili sono il risultato di un processo di selezione dei fenotipi non del tutto dissimile da quello botanico. I “cultivar” ideali dei prodotti di successo sono stati ottenuti grazie ad una lunga serie di insuccessi, di prove di materiali e lavorazioni, verifiche interne e indagini di mercato.

 

Da ogni edificio si potrebbe quasi evincere l’azienda che lo ha realizzato. L’apparente omogeneità dei prodotti prefabbricati in realtà nasconde una grande diversificazione di tecniche produttive, frutto di percorsi individuali verso la soluzione a problemi comuni. Il marchio di qualità di un prefabbricato è analogo al pedigree vegetale: in esso vi è racchiuso il suo albero genealogico a garanzia che quello che state osservando è sopravvissuto ad oggi in quanto si è dimostrato il più adatto alla sua funzione.



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